Teatro

Ho riscoperto l’immaturità. Ora faccio la festa al teatro

Ho riscoperto l’immaturità. Ora faccio la festa al teatro

Parte stasera dal Teatro Smeraldo il nuovo tour di Alex Britti, che lo porterà in giro per i principali teatri italiani a presentare le nuove canzoni dell'ultimo album Festa. Quello di Britti sarà un concerto concepito appositamente per il Teatro, alla ricerca d'intimità con il pubblico e di un sound d'alta qualità. Già, perché ascoltando il suo ultimo album non si può negare che la musica abbia un ruolo da protagonista, ed è giusto che essa venga valorizzata in un ambiente che esuli dagli ampi spazi dall'acustica poco clemente. Si è parla di album della maturità, ma in realtà lo si dice spesso quando esce il terzo o quarto album di un artista. «Festa» è frutto di un Alex maturo? «Insomma, forse è il mio album dell'immaturità visto che sono uscito da tutte le “inquadrature” che mi stavano intorno e ho fatto quello che mi andava. Ecco, se lo vai a chiedere alla mia casa discografica forse non lo chiamerà album della maturità, proprio per questa volontà di far tutto di testa mia. Però è vero che questo album apre un nuovo capitolo della mia nuova vita: il Britti che abbiamo conosciuto fino a oggi ora si è evoluto, e ha concluso quella prima parte di attività artistica nata dalla trilogia che raggruppa i miei primi tre album». A un certo punto della tua carriera hai deciso di dare più spazio alla chitarra. «È vero, ma non perché all'inizio non potessi farlo, tanto meno perché mi è venuta all'improvviso una gran voglia di chitarra; ho semplicemente maturato un percorso artistico molto lento perché avevo bisogno di imparare. Forse all'inizio non riuscivo a rendere protagonista la chitarra senza togliere valore all'impianto della canzone e al testo, poi invece ho imparato. Tutti dobbiamo fare piccoli passi e imparare. Ora riesco a inserire la chitarra nelle canzoni dando però il giusto spazio a ogni componente». Ma ti aspettavi il successo di quello strano tour solista «Kitarra, voce e piede» «Sarò sincero: sì. Tutti mi avevano sconsigliato di intraprendere la strada dell'artista solista che fa tutto sul palco con chitarra, voce e l'aiuto dell'elettronica (piede), dicevano che avrei venduto pochi biglietti, è stato un successo. Perché lì c'era il mio sound autentico, nulla di “scimmiottato” sulla base di studi di marketing o successi rielaborati». Il tour di «Festa» invece ha un valido gruppo di 6 elementi alle spalle. «Sì, e all'album ha collaborato pure Maurizio Costanzo. L'ho conosciuto andando ospite alle sue trasmissioni. Abbiamo iniziato a chiacchierare, poi ci siamo incontrati qualche volta a Roma e a un certo punto abbiamo stretto una grande amicizia. Ci vedevamo e ci vediamo ancora tutte le settimane, quando gli impegni ce lo permettono: è un po' come quando qualcuno si prende l'impegno settimanale del calcetto serale. Abbiamo bisogno di vederci, e non lo facciamo per lavoro. È come se due amici si trovassero per passare una serata a giocare alla playstation: ecco, il clima è quello. Ricordo ancora come è nata la prima collaborazione. Un giorno Costanzo mi ha fatto leggere una sua poesia e io sono rimasto colpito da un verso. L'ho analizzato e da quel frammento ho scritto l'inizio di un'altra poesia/canzone. Lui l'ha letta e ha aggiunto altre tre righe… insomma abbiamo lavorato così fino a far nascere …E dopo cercami». Ti definiscono un bluesman prestato al pop. Ti ci ritrovi? «No, non vuol dire nulla: sono definizioni che non capisco. Io divido la musica in due parti: quella che mi piace e quella che non mi piace. Il blues è buono e cattivo, come tutti gli altri generi. Certo io mi sono formato su questo tipo di musica, quando ero piccolo cercavo continuamente dischi blues e avevo un amico di mio papà, steward, che quando poteva mi portava qualche disco di artisti americani che qui in Italia non circolavano. È vero, questa è la mia origine, ma io sono solo “Alex prestato ad Alex”, ricco di tantissime influenze artistiche che hanno segnato la mia vita e la mia crescita». Di Matteo Failla